I FONDATORI DELLA TRADUZIONE CONTEMPORANEA

Una delle caratteristiche principali della ricerca sulla traduzione nella seconda metà del Novecento è la scarsità di comunicazione tra ricercatori occidentali e orientali, così che, in alcuni casi, gli uni hanno continuato a ignorare problemi posti dagli altri, o a fare ipotesi “nuove” in realtà già proposte e controllate da altri.
Eugene A. Nida
Nida è il più grande esperto mondiale di traduzioni di testi cristiani e il suo saggio più importante è Principles of translation as exemplified by Bible translating. Quando Nida pensa alla traduzione della Bibbia o dei Vangeli in bantu, sa bene che la dominante assoluta della sua traduzione è la diffusione dell’ideologia cristiana. Il testo biblico non può essere interpretato in altro modo.
Uno dei compiti essenziali del traduttore della Bibbia è ricostruire il processo comunicativo. In altre parole, deve impegnarsi in quella che comunemente è detta “esegesi” ossia l’interpretazione di un passo in termini della sua rilevanza nel mondo attuale, non della cultura biblica.
Perciò, se da un lato il discorso di Nida è poco estendibile perché accade assai di rado che un traduttore abbia una dominante ideologica così evidente, dall’altro ha il pregio di affrontare i cosiddetti “problemi veri” che i traduttori a volte lamentano di non vedere presi in considerazione da certe letterature teoriche.
La conseguenza che Nida trae da questa analisi è che bisogna modificare il contenuto semantico del testo per dare al lettore “la stessa idea”.
Traducendo il pensiero di Nida, occorre che il lettore sia indotto a leggere i testi sacri ai cristiani interpretandoli secondo i dogmi della Chiesa di Roma.
Dal suo punto di vista è ovvio che la forma è secondaria e che bisogna lavorare sul contenuto perché dica quello che il mondo cristianizzato già sa.
Di seguito Nida introduce importanti riflessioni anche sul contesto culturale che lo stesso definisce “imprescindibile”: “È impossibile affrontare una lingua come senza riconoscere la sua relazione con il contesto culturale dal quale nasce”.
E inoltre, mentre Benjamin sosteneva l’importanza che il vaso rotto della traduzione portasse su di sé bene in evidenza tutti i segni della sua ricostruzione, Nida opta per la traduzione falsificante, quella che si vuole far passare per un originale.
La traduzione consiste nel produrre nella lingua ricevente l’equivalente naturale più simile al messaggio della lingua emittente, prima nel significato e secondariamente nello stile. Per “naturale” intendiamo che le forme equivalenti non siano “estranee” né per forma (tranne naturalmente per questioni inevitabili come i nomi propri) né per significato. Ossia, una buona traduzione non deve rivelare la propria origine estranea.
Le differenze tra culture/lingue diverse fanno sì che determinate informazioni siano obbligatorie in una e ridondanti o oscure o ambigue in un’altra, implicite in una ed esplicite in un’altra. Ciò significa che una traduzione spesso non porta il carico informativo presunto, a causa di queste differenze.
Questa osservazione spiega perché a volte le traduzioni sono molto meno significative degli originali e perché invecchino molto più rapidamente.
La conclusione di Nida è a favore della cosiddetta “equivalenza naturale”, ossia della ricerca di un omologo culturale a scapito della traduzione linguistica, della mediazione in cui è sempre il testo a essere spostato verso il lettore, e non il lettore a essere accompagnato verso il testo.
Jiří Levý
Lo studioso cieco nel 1963 pubblica Umení prekladu[1], uno dei capisaldi della traduttologia contemporanea, successivamente tradotto in russo e tedesco.
Il processo traduttivo è qui inserito nella teoria generale della comunicazione.
Secondo Levý il processo traduttivo si manifesta sotto tre processi traduttivi: il primo traduce la realtà in un’opera scritta, il secondo per tradurre un testo in un’altra lingua (traduzione vera e propria) e il terzo per attualizzare, concretizzare tra le tante possibilità di lettura quella effettivamente realizzata.
Mentre il processo traduttivo vero e proprio, quello interlinguistico, si sviluppa anch’esso in tre fasi:
1.      Comprensione dell’originale
2.      Interpretazione dell’originale: la stessa può essere scomponibile in a) individuazione del senso obiettivo dell’opera; b) posizione interpretativa del traduttore; c) interpretazione dell’essenza dell’opera e possibile rivalutazione dei valori da parte del traduttore stesso.
3.      Riutilizzazione dell’originale.
Per Levý la traduzione è uno strumento creativo e arricchisce le singole culture. Il traduttore arricchisce la propria letteratura nazionale con nuovi valori linguistici, non soltanto creando nuovi mezzi espressivi (neologismi), ma anche assimilando nel proprio ambiente espressioni di altri Paesi (esotismi).
Nel concludere le sue riflessioni, Levý mette in risalto una delle caratteristiche prevalenti della traduzione: la tendenza all’esplicitazione.
Il traduttore spesso e volentieri chiarifica o descrive le immagini poetiche.
Lo sviluppo della metafore avviene attraverso l’esplicitazione in paragoni. Molto spesso il traduttore chiarifica del tutto quei nessi che nell’originale sono solo accennati. Egli si sforza di interpretare il testo e nel fare ciò indebolisce, seppur involontariamente, la funzione estetica del prototesto rafforzando, invece, la funzione informativa.
Andrej Venedìktovič Fëdorov
La sua fortunata opera Introduzione alla teoria della traduzione del 1953 e la fondazione della rivista Tetradi perevodčika[2] danno inizio all’attività pubblica della scuola russa di traduzione.
Fëdorov compie un’analisi molto ampia del processo traduttivo da un punto di vista prettamente linguistico, facendo un elenco di esempi di differenti tipi di testi e vari procedimenti linguistici per tradurli.
La conclusione è che non esistono vere e proprie norme per tradurre ma si possono individuare alcune costanti:
1.      Necessità di evitare una traduzione parola per parola, ma considerare ogni singolo elemento in funzione del contesto, a seconda del suo rapporto con il contesto;
2.      Impossibilità di prendere delle decisioni standard;
3.      Considerare la traduzione come un testo che traduce un testo, un’unità di forma a contenuto, conservando inalterate le interrelazioni tra i singoli elementi.
Sergej Vlahov e Sider Florin
I due ricercatori bulgari hanno compiuto studi scientifici molto interessanti su una delle questioni madre dell’attività traduttologia: i realia.
Essi sono termini che richiedono al traduttore uno sforzo particolare perché non possono essere trasmessi in un’altra lingua come gli altri elementi.
Molti di loro passano dal testo alla traduzione in forma invariata e vengono trascritti, altri possono conservare solo in parte la propria struttura morfologica, altri ancora devono essere sostituiti con elementi lessicali del tutto diversi.
Tra queste parole annoveriamo denominazioni varie della vita quotidiana, della storia, della cultura di altri Paesi e di altri popoli. Proprio per questo motivo assumono il nome di realia.
Utilizzando un termine strettamente tecnico le definiremo come le parole “culturali” o culturospecifiche. Vlahov e Florin suddividono i realia per tipi:
·         Realia geografici ed etnografici che comprendono parole come “steppa”;
·         Realia folcloristici e mitologici;
·         Realia quotidiani relativi al cibo, al vestiario (sombrero), ai mezzi domestici, ai mezzi di trasporto (risciò);
·         Musica o giochi come “golf”;
·         Unità di misura come “miglio”;
·         Valute come “dracma”;
·         Realia storico-sociali come le unità amministrative (contea), cariche e professioni (sceicco, questore), enti e organi (Collegio, Congresso), partiti e movimenti (Ghibellini, Democratici).
Non hanno quindi corrispondenza precisa in un’altra lingua. Ma come opera il traduttore quando si trova di fronte a un realia? Abbiamo diverse possibilità.
1.      Trascrizione: non si traduce il realia ma viene semplicemente riportato nella sua lingua originale e accompagnato quando serve da una nota a piè di pagina;
2.      Calco: da skycsraper viene tradotto in grattacielo. Si traduce letteralmente la parola;
3.      Neologismo: creazione di una nuova parola nella lingua di arrivo;
4.      Appropriazione;
5.      Traduzione approssimativa: le smart bombs diventano le “bombe intelligenti”;
6.      Traduzione descrittiva, che ha intento informativo: “minestra di cavoli” al posto di boršč
Parte della strategia traduttiva riguarda proprio la possibilità di conservare o no i realia in traduzione. È evidente che conservare i realia è spesso sinonimo di rispetto per la cultura dalla quale si sta traducendo  ma tutto dipende sempre dal tipo di testo di cui ci stiamo occupando.           
Perché se è vero che in un romanzo non ci disturba sapere se un’automobile ha percorso diverse miglia di strada, in un testo tecnico che parli delle unità di misura della distanza il traduttore è obbligato a dare al lettore ricevente una conversione delle miglia per rispettare quella specificità del testo che trasmette quella data informazione.
I realia devono, quindi,  essere recepiti dal lettore soltanto insieme al contesto che li circonda, in qualità di un tutt’uno con il testo.
 Non devono saltare all’occhio, però, ma dare solo veridicità e naturalezza all’originale anche se lo consideriamo in traduzione.
Katharina Reiss
Möglichkeiten und Grenzen der Übersetzungskritik[3] di Katharina Reiss del 1971 è improntato su criteri di tipo prescrittivo e non descrittivi.
Secondo la studiosa, ogni tipo di testo va visto secondo criteri diversi e le rispettive traduzioni devono essere analizzate in base a criteri specifici.
In qualsiasi traduzione è importante la componete soggettiva del traduttore. Così se una traduzione è rivolta ad un determinato tipo di lettore, anche i criteri della critica devono tener conto di questo principio.
Uno degli aspetti di questo trattato che rende la Reiss così attuale a decenni dalla sua pubblicazione è la considerazione per gli aspetti extralinguistici in traduzione. Il contesto culturale diventa un elemento essenziale così come è essenziale la funzione di un dato testo (specie se non letterario) tradotto nella cultura ricevente.
Il critico deve prendere in considerazione l’effetto di tutti gl’aspetti extralinguistici proprio come fa il traduttore quando lavora sulla traduzione.
André Lefevere
Il traduttologo André Lefevere ha svolto un’attenta analisi di vari testi tradotti e ha individuato alcune deformazioni del testo più frequenti. I testi tradotti sono spesso compressi ed espansi.
La comprensione è conseguita perlopiù con l’uso di parole composte e spesso camuffata da “spiegazione” o “interpretazione” o addirittura miglioramento. L’espansione è conseguita mediante esagerazione, esplicitazione e riempimento. Entrambe le procedure determinano una distorsione del metatesto e la falsificazione del prototesto.
Leonìd Stepànovič Barhudarov
Leonìd Stepànovič Barhudarov è un personaggio di spicco nella scienza della traduzione per aver diretto per molti anni la rivista Quaderni del traduttore.
Il suo libro più importante, Lingua e traduzione, del 1975 è un manuale che racchiude molti esempi di traduzione dall’inglese.
 Per Barhudarov, le perdite (residuo traduttivo) sono inevitabili, anche se devono essere ridotte al minimo e, dato che l’equivalenza è irraggiungibile, lo studioso vede più realistico puntare su quella che chiama la “gerarchia delle dominanti”.
Bisogna individuare con quale priorità vada trasmesso un elemento a scapito di un altro ossia, nell’ambito di un dato testo, è necessario definire cosa è importante conservare e che cosa invece si può sacrificare al fine di garantire la massima equivalenza.
Barhudarov propone un elenco interessante di tutte le trasformazioni e dei cambiamenti traduttivi, dividendoli in diverse classi: cambiamenti sintattici, lessicali, cambiamenti della forma della parola, dei membri della proposizione e compensazione. Le trasformazioni comprendono invece: spostamento, aggiunta, omissione.
James Stratton Holmes
James Stratton Holmes è uno dei fondatori della moderna scienza della traduzione. Quasi tutti gli autori moderni continuano a farvi riferimento nonostante la sua prematura scomparsa abbia precluso ulteriori sviluppi del suo contributo dopo i saggi raccolti nel libro Translated! pubblicato nel 1988, due anni dopo la sua morte.
Holmes introduce il concetto di cronòtopo e lo esprime in termini di coordinate storiche e geografiche, culturali, letterarie e linguistiche.
 Ogni traduttore lavora sulla sua traduzione facendo scelte su ciascuno dei tre piani, quello linguistico, quello letterario e quello socioculturale: a seconda che l’opera di mediazione traduttiva avvenga con il prototesto avvicinato al lettore del metatesto, o con il lettore del metatesto avvicinato al prototesto, si ha una naturalizzazione/modernizzazione oppure una erotizzazione/storicizzazione.
Parlando degli anni Sessanta, Holmes individua una tendenza da parte dei traduttori contemporanei a “esotizzare” gli aspetti di cultura e società.
Andando avanti nella sua analisi traduttiva, Holmes di concentra sui motivi per i quali un traduttore riesce a concentrarsi simultaneamente sulla singola parola e sul testo intero (sui rapporti tra la singola unità e l’insieme).
Egli, traducendo, ha in mente una mappa del prototesto e, allo stesso tempo, proietta sulla cultura ricevente una mappa dell’ipotetico metatesto.
Per Holmes, il processo traduttivo è, in realtà, un processo a vari livelli: mentre traduciamo frasi, abbiamo una mappa dell’originale in mente e, simultaneamente, una mappa del tipo di testo che vogliamo produrre nella cultura ricevente.            
Anche quando traduciamo in serie, si ha la concezione che ogni frase della nostra traduzione è determinata non solo dalla farse dell’originale e del testo tradotto che ci portiamo dietro mentre traduciamo.
Anton Popovič
Nel 1975 lo studioso slovacco Popovič pubblica un saggio cha ancora oggi è uno dei capisaldi della scienza della traduzione, pur non essendo mai stato tradotto interamente, se non in russo: Teória umeleckého prekladu[4]. Il suo oggetto di studio è l’attualizzazione concreta del processo traduttivo.
La modernità di Popovič sta proprio nel fatto di proporre un nuovo modello traduttivo che tenga conto della specifica situazione comunicativa come: il tema e le sue relazioni con la società, le scelta dei mezzi espressivi, il ritmo del testo.
Lo studioso propone uno schema di tale comunicazione che collega non solo l’emittente con il ricevente, ma anche la tradizione di quel tipo di testo con la realtà extraletteraria nella cultura che ha prodotto l’originale.
In questo modo si tiene conto della relazione tra il testo e la realtà che lo ha prodotto e il testo e la convenzione letteraria dominante del periodo.
Così, l’analisi del prototesto non è più sufficiente per individuare la dominante del testo perché influiscono una serie di variabili extralinguistiche.
La traduzione, pertanto, viene vista come l’unione di più tendenze letterarie che Popovič chiama “creolizzazione” ed è, quindi, la fusione (creolizzazione) di due culture.
In relazione a questa teoria, il modello traduttivo teorizzato può essere caratterizzato da :
·         Preponderanza della diffusione e della forza internazionale della cultura dell’originale;
·         Preponderanza della diffusione e della forza della cultura della traduzione;
·         Parità della diffusione e della forza delle due culture.
I.I.Rezvin
Rezvin definisce cinque tipi di traduzione.
-Traduzione interlineare o parola per parola quando l’elemento da tradurre rientra sia nella lingua emittente sia in quella ricevente e viene semplicemente ricodificato; -traduzione letterale quando il sistema delle lingua ricevente viene ampliato (in modo illecito) per farvi rientrare una corrispondenza biunivoca tra l’elemento del prototesto e l’elemento del metatesto; -traduzione semplificante quando un elemento del testo originale, che non ha nessuna corrispondenza nella lingua ricevente, viene trasformato in un elemento diverso per essere tradotto nella lingua ricevente; -traduzione precisa quando un elemento del prototesto, privo di corrispondenza biunivoca nel metatesto, viene tradotto con una serie di elementi che lo descrivono con precisione; -traduzione adeguata quando la traduzione precisa viene fatta tenendo conto del co-testo tradotto.
Emilio Mattioli
Mattioli è il più importante teorico italiano della traduzione, una delle colonne portanti della rivista Testo a fronte.
A partire dal 1989, i suoi significativi interventi sulla traduzione fanno il punto della situazione della ricerca internazionale e indicano le soluzioni più produttive.          
Per Mattioli, la situazione ideale è quella in cui il traduttore pone il lettore nella condizione di recepire il testo in tutte le sua ambiguità e procedere di persona all’interpretazione.
È facilissimo tradurre il testo in modo tale che risulti accettabile alla cultura d’arrivo, ripulendolo di tutto quello che lo caratterizza, ma la pura e semplice trasmissione dei contenuti è un’operazione senza qualità.
La buona riuscita di una traduzione sta nella negazione di se stessa, nel suo non farsi notare, nel negare la sua diversità.
Dirk Delabastita
Dirk Delabastita pubblica nel 1993 un trattato di traduttologia considerato un pilastro fondamentale della nuova disciplina.
Delabastita, prendendo subito in considerazione la traduzione come rapporto tra culture, affronta il problema fra traduzione linguistica e culturale.
Nel primo caso, di un enunciato del prototesto si cerca un enunciato che, nella cultura ricevente, abbia un significato analogo. L’espressione creaking shoes in Shakespeare indica, linguisticamente, delle scarpe scricchiolanti. Ma a livello culturale indicano un’attenzione particolare per il lusso e la moda.
In questo, come in molti altri casi, il traduttore deve scegliere se affidarsi al trasferimento linguistico o a una traduzione culturale.
Delabastita propone al traduttore (in questo caso specifico) che sceglie di fare un’operazione culturale di fare riferimento a una nota marca di calzature conosciuta nella cultura del traduttore, per conferire al lettore ricevente l’idea che lo stesso Shakespeare voleva dare.
La traduzione culturale consisterà, quindi, in questo caso, nel sostituire l’espressione creaking shoes con un equivalente traduttivo che indichi un modello di scarpa lussuoso e alla moda.
Ma dall’altro lato Shakespeare potrebbe obiettare questa scelta, rilevando la presenza di una parola che lui stesso non voleva esprimere. Per questi motivi, la ricerca dell’analogo culturale è sempre problematica perché introduce nel testo un elemento culturalmente estraneo.
Nel secondo caso, altrimenti detto “omologia culturale”, una traduzione omologica potrebbe essere “scarpe scricchiolanti” e lascia al lettore il compito di colmare da solo la distanza culturale che c’è con il testo.
Con la traduzione linguistica si ottiene lo scopo di far capire quali fossero le scarpe indossate dal personaggio shakespeariano. In questo modo il lettore del metatesto non capisce assolutamente che Shakespeare voleva alludere a un lussuoso articolo di moda.
Nella nostra cultura “ un paio di scarpe scricchiolanti” sono un articolo difettoso, fastidioso. La conseguenza di questa strategia traduttiva è di inserire nel metatesto esotismi, non vissuti come tali dal lettore del prototesto contemporaneo all’autore e di lasciare che il lettore entri in contatto con una cultura diversa dalla propria.
José Lambert
José Lambert è uno dei principali redattori della più importante rivista di scienza della traduzione al mondo, Target e ha fatto parte della scuola di traduzione di Tel Aviv. L’articolo Translation, or the canonization of otherness del 1995 è particolarmente interessante per le nostre esigenze.
In questo scritto, la traduzione è considerata l’elemento cardine dei rapporti tra culture, ma il fatto che elementi stranieri entrino a far parte della propria cultura viene spesso censurato, perché si teme che ciò toglierebbe prestigio alla cultura nazionale. Di conseguenza, spesso viene censurata anche l’esistenza della traduzione come fonte di tale mediazione.
Ma i traduttori non si limitano a importare, ma esportano anche i valori propri in Paesi stranieri. A loro viene, infatti, affidato il cómpito di esportare elementi della propria cultura e questa è un’attività piuttosto delicata perché molto spesso non si distingue il “proprio” da “altrui”.
L’immissione in un sistema di un elemento estraneo crea scompensi e il confronto con l’altrui dà modo di prendere coscienza di ciò che è sempre stato proprio e per questo dato per scontato.
E la censura è stata spesso e volentieri assimilata dalla mentalità dei traduttori stessi che a volte si procede all’autocensura.
Quest’ultima è un fenomeno interessante nella traduzione: è paradossale, infatti, che sia la stessa persona che comunica il messaggio a escludere in modo rigoroso e sistematico certe componenti testuali.
È il traduttore stesso, quindi, che procede autonomamente a una censura implicita. E ciò non fa che moltiplicare le occasioni in cui avviene una censura senza che il pubblico se ne accorga.
Nella società contemporanea, l’uso del doppiaggio è un tipo ambiguo di traduzione, mentre il sottotitolaggio è una traduzione più limpida.
Lambert prende l’esempio del doppiaggio a modello della politica culturale che un Paese adotta nei confronti dell’altrui.
Trattandosi seppur di una forma di traduzione nascosta (i doppiatori studiano parole che possano essere plausibili sulla bocca degli attori), il doppiaggio è un fenomeno talmente diffuso che, benché tutti sappiano che esiste, spesso ci si meraviglia la prima volta che si sente la voce dell’attore straniero dal vivo. Questa traduzione avviene, quindi, senza la consapevolezza del ricevente.
Per quel che riguarda il doppiaggio nello specifico, è doveroso aggiungere che c’è una relazione diretta tra scelta del doppiaggio e censura della diversità e scelta del sottotitolaggio e riconoscimento della diversità.
Le nuove ricerche ci permettono di affermare che certi tipi di governo, come i governi totalitari, hanno sempre usato il principio della traduzione e del doppiaggio per impedire un certo “inquinamento” da parte dell’altrui.
Gideon Toury
Gideon Toury è un esponente di spicco della scuola di Tel Aviv.
La prima norma che individua è quella in base a cui il traduttore deve decidere quali scelte traduttive compiere: o si assoggetta al prototesto (e alle relative norme) o alle norme della cultura ricevente.
Se si adotta la prima linea, si realizza una “traduzione adeguata” che può essere incompatibile con gli elementi extralinguistici della cultura ricevente. Se si adotta, invece, la seconda linea vengono necessariamente considerate le norme della cultura ricevente con conseguenti modifiche per il prototesto.
Quindi, mentre l’adesione alle norme del testo di partenza determina l’adeguatezza della traduzione rispetto al prototesto, l’adesione alle norme del metatesto ne determina l’accettabilità. I cambiamenti effettuati nel passaggio prototesto-metatesto possono essere obbligatori o facoltativi ed infatti la singola strategia traduttiva può essere posta su un continuum di scelte che possono oscillare dall’adeguatezza all’accettabilità.


[1] L’arte della traduzione.
[2] Quaderni del traduttore.
[3] Potenziali limiti della critica della traduzione.
[4] Teoria della traduzione letteraria.